Sì.
we are moving
Ma è un pluralis maiestatis, perché a trasferirmi son solo io. Mi sento un’incurabile opportunista a cercarti, mio non-diario virtuale, solo quando sento movimenti d’animo così incontenibili da volerli estendere in questa maniera.
In questa enorme ragnatela.
Ché a contenerli fatico.
Divaghiamo oltre: ora, che significa che ci stiamo trasferendo?
Ne ho avuti di traslochi e spostamenti vari nella mia vita. Uno più traumatico dell’altro. Roma, Avellino, Napoli. E a Napoli da una casa all’altra. E di nuovo il pendolo tra Avellino e Napoli. E la mattina da una sede universitaria all’altra. E sali, e scendi. E l’ascensore di casa, e quello della metro. E persone che ti passano affianco per tre secondi – il tempo di camminare, lentamente, paralleli, il tempo di non incrociarsi -, per qualche mese – il tempo di conoscersi, di non capirsi, di tornare a non conoscersi -, per qualche anno.
Ed inizi a sentirti sballottolato.
Ne parlerò meglio, ma mi guarderei bene dal prometterlo. Qua sopra ho raggiunto la capienza massima di promesse non mantenute. Non rimane che caricarle su una memoria esterna.
Ci stiamo trasferendo.
Nel senso che l’articolo conclusivo qua sopra è questo. Mi sposto. Ancora non so dove. Aspetto il vento.
Guardo le statistiche del blog.
(Può esser mai che nonostante la sua quiescenza ci siano ancora lettori giornalieri?)
Mi sembra di lasciare piccoli messaggi nelle bottiglie.
Ci stiamo trasferendo.
Immaginate questa carta un po’ ingiallita coi bordi bruciacchiati. Arrotolata.
Sigillata con la ceralacca.
La ceralacca: un raffinato spettro rosso.
Metto in bottiglia.
Vediamo dove lo portano le onde.
Nati