Non odio il Capodanno,

ma Gramsci sì. Ah! Nel senso: no, non odio nemmeno Gramsci. Ma Gramsci odiava il Capodanno.

Io, ripeto, non odio il Capodanno. Certo è che non lo vivo più con la trepidazione mista a dispiacere e gioia di quando ero bambina. Dispiacere perché mi era stata presentata quest’immagine de “l’anno vecchio che si butta nel Tevere”, e che non sarebbe più tornato. Quanto mi dispiaceva per l’anno vecchio!

Ma non poteva coesistere con l’anno nuovo? No? Perché escludersi a vicenda?

Ma lasciavo perdere i pensieri filosofici che già cercavano di “corrompere” la mente ancora vincolata dai suoi anni da bambina, ed ecco la gioia. Il clima di festa. I compiti che potevano aspettare: avevo ancora una settimana di vacanza dalla scuola.E chi l’avrebbe detto che proprio dai compiti, sì, chiamiamoli così, avrei trovato il sollievo al dispiacere per l’anno vecchio che si buttava nel Tevere. Alla fine non era un cambiamento così drastico come voleva apparire.

E via sta necessità dei propositi. C’è sul serio qualcuno che se li fa? Mi son sempre risparmiata di fissarmi dei propositi. Me la sarei presa così come sarebbe venuta.

Il sollievo, dicevo. Il sollievo di realizzare e di avere il coraggio di dire una volta per tutte che i cambiamenti non avvengono così drasticamente, tanto nel nostro piccolo quanto nel macroscopico. La storia altro non è che composta da noi come noi siam tanti aggregati di elementi via via più piccoli.

Mi sto dedicando allo studio della storia moderna, in questo periodo, che mi fa tanto penare ma… che passione, vi giuro.

Ma ora Gramsci.

“…

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna.

E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

…”

firmato Natalia del 2019

Sergio Premoli, Gramsci

Il mondo con i miei occhi_

Il mondo visto con gli occhi miei è un posto a volte in bianco e nero, a volte seppia, a volte a colori

Il mondo come lo vedo io è un posto poco raccomandabile per chi lo volesse visitare e per chi ci abita, beh, riservo solo tanta comprensione. 

  
Talvolta, quando meno te l’aspetti, ti chiedono se possono misurare i tuoi occhiali. I miei sono neri, gialli all’interno e… mi rendo conto solo ora che non sono in grado neppure di descriverli. 

Ah, la limitatezza della parole. Che cosa brutta. 

Fatto sta che c’è della seta all’interno della montatura degli occhiali. Sì, seta. Gli conferisce una serie di venature particolari, quelle cose belline e molto orientali, sapete. 

Dunque, dicevo che qualcuno ti chiede di provarli. E capisci che è la persona giusta se trovi che sia adorabile addirittura con gli occhiali che pensi (pensavi) stiano (stessero) bene solo a te. 
  

Siamo tutti un po’ miopi. Chi più, chi meno.  


Ma il mondo con gli occhi miei non è detto che lo veda sfocato.
È solo che gli altri, probabilmente, lo vedono troppo nitido.

  

n.m.

Io 

Sono 

pessimista 

accidiosa (!!!) 

ambiziosa (che lo metta in mezzo ai difetti non è un caso) 

perfezionista 

megalomane

quel che voglio lo devo ottenere subito senza sforzi 

e se non lo ottengo mi lamento 

quindi 

lamentosa 

introversa da far schifo 

schiva

diffidente

ripeto, pessimista

pigra 

Però ho anche molti bei pregi 

e li dico per ultimi per compensare bene 

tipo

buona e troppo nel momento in cui ci tengo

quasi generosa

sincera  

sincera anche quando dico di essere sincera

dicono che sono simpatica

buona ascoltatrice

timida con le guanciotte rosse

(incolperò sempre il freddo) 

e altro 

forse

–—–—–—–—–— 
Nat

Quando una persona devia lo sguardo.

Da una breve riflessione qui sul blog ero arrivata a ragionare su cosa vuol dire quando una persona devia lo sguardo senza riuscire a sostenere il confronto visivo. Mi piace molto la psicologia ma non al punto tale da poter dire di intendermene. Ciononostante mi addentro un po’ in un aspetto che potrebbe essere definito di natura psicologica. Un aspetto molto deduttivo, è vero, ma anche molto interessante. A mio parere merita di essere affrontato. 
Dunque, poniamo una situazione tipo.

Tu rivolgi la parola ad una persona, guardandola negli occhi. Intrattieni un discorso con questa, ma quasi subito dopo aver iniziato a scambiare le prime frasi ti rendi conto che da parte sua c’è una certa agitazione, un nervosismo che leggi, appunto, nel suo sguardo. Questa persona tende infatti a cambiare il punto in cui guarda, come se volesse evitare che tu invada il suo “piccolo”. Mi sembra naturale a questo punto fare due tipi di ragionamento diversi a seconda di che persona ci si para difronte. Questo pensiero può farci anche capire meglio, in effetti, di chi si può trattare.
Io lo vedo come una sorta di difesa, per esempio, il tentativo di deviare lo sguardo. La persona che non ti guarda negli occhi quando ti parla può essere una persona timida, con la personalità più bella del mondo, che vuole tenere quanto di più bello ha tutto per sé o per pochi eletti, quei fortunati che ti diranno sempre « fidati, appena ti conosce meglio ti dà anche l’anima. »

O magari nasconde, ben altro che la timidezza, non una personalità, ma un’ipocrisia che impedisce uno scambio di stima e che fa mettere sulle difensive. Brutta cosa la falsità, stavo notando in questi giorni. E la dobbiam fronteggiare sempre, piccoli Orlando-furiosi, che pure davanti  alla verità vogliamo dare una spiegazione solo nostra.

Come diagnosticare il cattivo umore. 

A volte vorrei solo dire che

« non 

dovete

rompere »

cosa? Si sa. Dico davvero. Vengo messa troppo a dura prova, io. E la mia pazienza anche, che può solo lamentarsi di essere scomodata sempre. 

La voce, però, quella mai. Non la faccio uscire praticamente mai. Però quante volte, quante, vorrei solo dire 

« sì, 

okay, 

basta. » 

E rimane lì a stagnare nella mente.

Gli occhi che roteano, l’espressione del viso palesemente scocciata. E dei sospiri tutt’altro che insignificanti. Tutti segnali del  

« non 

mi 

interessa »

Ma finisco con l’annuire distrattamente senza palesare il fatto che 

« chiudi

il

becco »

Conclusione? Raro trovarmi di buon umore, vero, però lo nascondo molto bene. Solo un attento specialista potrebbe diagnosticare il mio essere al limite. 

Più di una persona.

Io sono più di una persona, e questa è una cosa molto importante da considerare. Ci sono occasioni in cui l’unicità risale a galla, a discapito del pensiero così aberrante del proprio essere «uno su qualche miliardo». 
Prima di essere una persona io sono Natalia. Questo è il mio nome e mi piace che gli altri lo pronuncino bene. Natàlia, con l’accento sulla seconda A. E in quanto Natalia sono unica, con i capelli un po’ riccioluti e rossicci, il viso tanto tanto chiaro e gli occhi -ci tengo a sottolinearlo- verdi, con solo poche screziature di castagna. Ripeto spesso questa cosa, che mi consente di dividere le persone in due grandi categorie: quelle che mi conoscono e quelle che non mi conoscono. Le prime dicono che ho gli occhi verdi, appunto, mentre le seconde sono indecise. Quando qualcuno sa con certezza il colore dei tuoi occhi stai pur certo che ti conosce bene, perché vuol dire che ti ha guardato bene in faccia e ti ha letto dentro, sì, se vogliamo dire che gli occhi sono lo specchio dell’anima. E io un po’ ci credo, io in quanto Natalia, con gli occhi verdi, che conoscete parola dopo parola sempre meglio. Così funziona. Leggi negli occhi e poi tra le righe di ciò che una persona scrive. E capisci chi è. 

lavatrice-pensieri 

Sono una persona che ci tiene molto ad essere ascoltata. Mi piace quando gli altri chiedono il mio parere riguardo una cosa, quando sentono ogni mia parola, mi sorridono e poi dicono la loro. 

Il punto è che la mia sensibilità in questo gioca brutti scherzi. Capita che mi sento come trasparente, a volte. Una sensazione spiacevole, sentirsi fuori luogo, che senza dubbio abbiamo provato un po’ tutti nella vita. Ma nel mio caso c’è di più. Non essere ascoltata mi porta ad ascoltarmi da sola. Mi spiego: pongo quanta più attenzione su me stessa cercando di saziare la necessità di comprensione, finendo con il conoscere ogni volta un lato nuovo di me. Ha dell’assurdo, questo discorso, e lo so. Ma anche scrivendo cose del genere – scrivendo, infatti, mi libero – è come se mi sfogassi in un certo qual modo, il che mi solleva non poco. Amo scrivere ogni cosa che mi passa per la testa, forse non c’è cosa che in questo periodo mi aiuti di più. E soprattutto pensare di essere letta da altri mi rincuora, mi ravviva, ché da sola in una stanza i pensieri possono solo circolare come in una lavatrice.
Buona serata a tutti, 

Nat 

Agitazione.

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Stava lì in piedi a mescolare le paranoie con le preoccupazioni reali e si mordeva il labbro con una famelicità trattenuta. Fare avanti e indietro con la foga che avrebbe impiegato rappresentava un enorme dispendio di energie, che in quel momento sentiva come mancarsi. Senza ombra di dubbio era cosa inutile preoccuparsi di ciò che aveva attorno, data la turbolenza che si animava dentro di sé; ma immediatamente, senza poter fare niente per evitarlo, posò i suoi pensieri immaginando quel che sarebbe venuto dopo il vuoto.  

Si paravano una serie di ipotesi e queste non facevano altro che aumentare l’agitazione. Calma? O altre ragnatele tra le paure riesumate in soffitta?

Trovare una soluzione in quei momenti era come cercare di guardare le stelle durante un temporale. Il cielo blu plumbeo lasciava trasparire solo una figura opaca di sé, avviluppandosi in una coperta di nubi cariche di pioggia.

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evasione

So che forse, anzi, sicuramente, vorrai evadere. Evadere da cosa? La parola evasione richiama il concetto di prigione, dal momento che essi sono legati. E sono legati perché in prigione tu sei trattenuto per quanto la tua volontà ti detti il contrario. Per quanto ogni parte di te si ribelli e voglia, appunto, evadere. Sentirsi liberi una volta fuori dalla prigione non vuol dire, però, esserlo. Evadere non è legato propriamente alla parola prigione – e ce ne rendiamo conto ora- ma al significato che nasconde la sensazione di non sentirsi liberi. Ecco perché si evade anche dalla realtà. La realtà vista come prigione, come qualcosa che ti impone determinate cose e ti impedisce categoricamente altro. 

Non amare la propria condizione attuale porta a voler cambiare casa, città, colore di capelli… Ogni cosa. A volte nemmeno nel tuo stesso corpo, infatti, riesci ad essere soddisfatto. 
Come si può stare bene con quel che si ha attorno? Mi piacerebbe saperlo e dato che voglio evitare quasi del tutto un pessimismo cosmico mi prefisso di riuscire a trovare il modo. Ci voglio credere, insomma.

Voglio solo stare bene. 

Sentirmi al mio agio.